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domenica 11 ottobre 2020

Il conflitto nel Nagorno Karabakh

Il Nagorno Karabakh, piccola regione montana del Caucaso il cui nome in azero significa «giardino nero di montagna» è popolato da armeni, cristiani e turchi azeri, mussulmani. La regione è diventata  parte dell’impero russo nel diciannovesimo secolo. Contesa, fin dall’inizio del secolo, dalle repubbliche di Armenia e Azerbaigian, nel 1920 fu conquistata dai bolscevichi e nel 1923 entrò a far parte dell’Azerbaigian. Il conflitto del Nagorno Karabakh  iniziò nel febbraio del 1988, quando il Parlamento del piccolo Stato  decise di chiedere l’annessione all’Armenia. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il 2 settembre 1991, la regione si autoproclamò indipendente. Il successivo referendum confermò, il 10 dicembre 1991, tale decisione. Lo scontro, che si originò tra le due repubbliche contendenti, causò circa 30 mila morti e centinaia di migliaia di profughi dalle tre aree: la popolazione azera (mussulmana), dal Karabakh e dall’Armenia, gli abitanti di etnia armena (cristiani) 


fuggirono dall’Azerbaigian. Un accordo di cessate il fuoco, raggiunto con la mediazione della Russia, nel 1994,  riconobbe la vittoria militare degli armeni a cui rimase il controllo del Karabakh e di altre regioni dell’Azerbaigian. Il trattato di pace, di Bishkek, però non fu mai siglato. La fine delle operazioni militari non portò al disarmo e i negoziati di pace, ormai da anni, sono in un vicolo cieco.  La complessa situazione sul campo vede oggi la Russia, che sostiene l'Armenia, con il ruolo  di arbitro regionale e l'Azerbaigian, in posizione di forza, rinsaldare la sua alleanza energetica con la Turchia, arricchito dai proventi di gas e petrolio. L'Armenia, in difficoltà, cerca l'appoggio dei vicini Iran e Georgia per non venire stritolata dall'alleanza turco-azera. Il prolungarsi del conflitto può portare all’estendersi dello scontro con tutte le potenze regionali.

sabato 27 giugno 2020

Vidovdan: Il giornodi S.Vito, 28 giugno

Si tratta di una data dai molteplici significati, religiosi, storici, politici, della memoria collettiva dei Balcani. 
- Nel 1389, il 28 giugno, ebbe luogo la battaglia a Kossovo Polje, nella piana dei merli, quando l'esercito di alleanza balcanica, guidato dal principe Lazar affrontò l'esercito ottomano nell'epica battaglia ove trovò la morte. Il suo sacrificio con molti soldati serbi impedì l'espansione in Europa dell'impero, ma confermò nei Balcani la presenza ottomana per 5 secoli.
- Il significato religioso del giorno, è ricordato dalla chiesa ortodossa, come il momento cruciale in cui la cristianità serba si oppose col martirio agli infedeli ottomani.
- A questo giorno si collega il nazionalismo balcanico, particolarmente quello serbo, inteso come il giorno del riscatto morale e patriottico di un popolo. Seicento anni dopo, Milosevic, nella piana dei Merli chiamò a raccolta i serbi incitandoli all'orgoglio nazionale nella difesa dei luoghi a loro sacri, il Kossovo appunto, dando vita alle guerre balcaniche degli anni '90.
 -In questo giorno, nel 1914, a Sarajevo, Gavrilo Princip, uccise l'arciduca austriaco Ferdinando facendo precipitare l'Europa nella prima guerra mondiale. 
  -Nel 1921, re Alessandro I proclamò il regno dei serbi, sloveni e croati.
 -Proprio nella ricorrenza di Vidovdan del 2001, Milosevic venne arrestato e trasferito all'Aia per essere processato per i crimini commessi nella ex Jugoslavia. 
  -Infine il Montenegro il 28 giugno del 2006 venne riconosciuto come 192° Stato dell'ONU.

Pertanto questa  data ha un elevato valore simbolico nella memoria non solo dei popoli slavi dei
Balcani, ma anche dei cittadini europei.

mercoledì 8 maggio 2019

L'ALBA DI UNA NUOVA VITA


L’alba e il tramonto sono i momenti che delimitano il giorno, in cui la luce solare effonde i suoi benefici influssi sulla natura e sugli esseri viventi. Similmente, nella parabola esistenziale umana, la nascita e la morte sono gli attimi cruciali tra i quali fluisce la vita. Questi fondamentali eventi dell’esistenza segnano il perenne rinnovarsi  della natura e il perpetuarsi della vita umana sulla terra, attraverso il trascorrere inarrestabile del tempo.
Sullo sfondo della storia d’Italia degli ultimi cinquant’anni, Andrea, di umili origini venete, lotta nei difficili anni del dopo guerra per farsi una dignitosa posizione nella società, aiutato dall’amore con una ragazza del suo paese, Giulia, incontrata in circostanze imprevedibili. Ma giunto a conclusione del suo lavoro, nel momento in cui ognuno spera di godersi un po’ la vita, le condizioni di salute di Giulia peggiorano, fino a condurla alla fine. Andrea con coraggio e forza d’animo saprà risollevarsi e riscoprire l’alba di una nuova vita.

Pubblicato il 30 apr. 2019, da BOOKSPRINT EDIZIONI

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- telefono: 0828951799 / fax: 08281896613



martedì 1 gennaio 2019

Dopo un sconfitta militare Vittorio Veneto



Lo sfondamento del fronte italiano nei settori di Plezzo e Tolmino in Carnia, nei pressi di Caporetto, avvenuto il 24 ottobre 2017 ad opera di un’armata austro- tedesca, mise seriamente a repentaglio la tenuta della difesa italiana nel corso del primo conflitto mondiale. L’offensiva austriaca aveva l’obiettivo  strategico di conquistare la pianura friulana-veneta e possibilmente proseguire fino all’ occupazione di Milano. Il Generale Cadorna, poco amato dai soldati e criticato dai suoi Generali per la condotta statica delle operazioni, di fronte alla rottura della linea difensiva, ordinò, dapprima, il ripiegamento delle armate del fronte nord-orientale sul fiume Tagliamento e quindi la loro ritirata sul Piave. Egli ritenne, correttamente, che il sistema difensivo, Trentino - Monte Grappa - fiume Piave, fosse il baluardo su cui organizzare l’ultima difesa. Su queste posizioni il fronte si accorciava considerevolmente (di circa 300Km.) e si ancorava al massiccio del Monte Grappa che poteva fungere da perno in una eventuale manovra di contrattacco, tesa alla riconquista del terreno perduto. Il ripiegamento del fronte causò circa 11mila morti, 29 mila feriti, oltre 300 mila prigionieri e altrettanti sbandati e profughi che fuggirono dalle loro terre occupate dagli austro-tedeschi. L’invasione del Friuli sconvolse tutta la nazione. Cadorna venne sostituito dal Gen. Diaz, si formò un nuovo  Governo. La sconfitta militare evidenziò, tra l’altro, la fragilità delle istituzioni del nuovo Stato unitario e la loro difficoltà nell’alimentare lo sforzo bellico. Dal punto di vista militare, era necessario ripensare a una nuova strategia difensiva, non più basata sulla difesa ad oltranza e sulle “spallate” effettuate con l’impiego a massa delle truppe per scardinare le posizioni dello schieramento  avversario, ma concepire una difesa elastica, su unità leggere in grado di contrattaccare, difendere o arretrare secondo le circostanze, sostenute dall’impiego massiccio dell’artiglieria. Occorreva valorizzare il soldato con un trattamento più umano e con risorse adeguate alla grave situazione. L’Esercito era demoralizzato, sfinito per i lunghi anni passati in trincea, privo di mezzi e del ricambio naturale di uomini.
Dopo le vicende di Caporetto il Paese intero, ancora diviso nella diatriba neutralità ed interventismo, fu chiamato a fornire il massimo sostegno, morale, economico, politico alle truppe che combattevano al fronte. Avvertendo il pericolo che anche il Veneto potesse seguire le sorti del Friuli, fu deciso di reclutare i diciottenni del 1899, trecentomila giovani della classe non ancora chiamata alle armi. Essi furono inseriti tra le file dei veterani portando nuova linfa vitale ed incosciente entusiasmo. Annoterà il Gen. Diaz, con una punta di retorica: «Li ho visti i Ragazzi del ’99. Andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera. Cantavano ancora». Con l’ estrema difesa sul Piave  si combatteva per il futuro della patria. Tra le due sponde del fiume c’era la vita o la morte, la vittoria o la sconfitta. Nell’immaginario collettivo il Piave assunse sembianze umane: “mormorava” quasi per manifestare la sua vicinanza ai soldati, travolgeva con l’impeto dei suoi flutti i nemici che lo attraversavano, accoglieva pietosamente  il sangue dei caduti che nelle sue acque trovavano sepoltura. Dal novembre 1917 all'estate 1918, su questo fiume si svilupparono quel complesso di azioni risolutive che portarono alla battaglia finale di Vittorio Veneto.
Sulla sconfitta di Caporetto sono stati scritti decine di libri, mentre  nessuna pubblicazione ha rievocato finora le gesta eroiche dei soldati italiani sul Piave e sul Grappa. Probabilmente la sconfitta di Caporetto ispirò maggiormente gli storici rispetto alla successiva grande vittoria.  Pertanto, è doveroso ricordare che le battaglie sul Piave non furono una “leggenda”. Esse rappresentarono la riscossa morale e materiale di tutto il Paese, che con sacrifici indescrivibili, al fronte, nelle città, nelle campagne, lottò unito per la salvezza della patria. Sul Piave morirono veneti e lucani, napoletani e genovesi. Altri soldati, provenienti da ogni regione d’Italia, erano caduti nei precedenti combattimenti.
La storia ufficiale non ha ancora approfondito del tutto le motivazioni della vittoria. Questa  non scaturì dal miglioramento del vitto alle truppe, mai tanto scarso come in quei giorni e nemmeno dai turni di riposo ai combattenti che non furono mai concessi. Non fu il risultato delle decisioni prese dal nuovo Governo (i fanti non sapevano neppure che quello vecchio era caduto) e nemmeno il frutto dell’intervento militare delle truppe alleate che entrarono in linea ai primi di dicembre, dopo aver visto che gli italiani potevano fronteggiare da soli il nemico. Non fu la conseguenza della potenza economica della nazione che era completamente a terra. Certamente, dopo anni di confusione e paura, tutti gli italiani compresero che si stava combattendo la guerra di casa. Si doveva difendere la propria terra, salvaguardare le proprie famiglie, impedire che alle donne venisse fatto quello che stavano subendo le friulane e le venete al di là del Piave e del Grappa. Era una guerra che ai nostri nonni, fanti contadini, abituati a badare alla terra e alla famiglia, risultò quasi naturale, inevitabile. La rassegnazione di un “popolo calpestato e deriso” si trasformò in una prodigiosa forza morale che coagulò gli sforzi di tutti, combattenti, donne, giovani ed anziani,  nell’amor di patria e segnò la nascita vera della nostra nazione.



martedì 16 gennaio 2018

Non per apparire ma per essere

Cari Soci ed amici, il mandato per il Direttivo attualmente in carica, dopo cinque anni, è al termine. Pertanto, a norma dello Statuto dell’Associazione, è necessario indire nuove elezioni per rinnovare  le cariche sociali. 
Nel corso di questi ultimi cinque anni il Gruppo ANUPSA di Verona ha visto alcuni cambiamenti positivi, frutto dell’ oculato e proficuo lavoro svolto dal Gruppo direttivo ed anche dalla collaborazione di alcuni nuovi Soci che hanno consentito di migliorare aspetti organizzativi e funzionali della sede e di alcuni servizi forniti agli Associati. Il Direttivo ha affrontato con determinazione le iniziali difficoltà, di carattere economico e non solo, mediante l’impegno, la disponibilità e la piena collaborazione dei suoi componenti. In particolare, ritengo evidenziare che le decisioni sono stato prese, sempre insieme, con senso di responsabilità, allo scopo di tenere vivo e far funzionare il sodalizio. In esso gli Associati hanno potuto presentare ed anche ottenere risposte alle loro istanze, incontrare colleghi, amici e simpatizzanti in un ambiente sereno ed accogliente, sentendosi “in casa propria”. Senza entrare nei dettagli delle attività svolte e dei risultati raggiunti, desidero, tuttavia, sottolineare il miglioramento dei rapporti del nostro Gruppo ANUPSA con la Presidenza Nazionale, con gli altri Gruppi del Triveneto e con alcune Associazioni Combattentistiche, d’Arma e culturali di Verona. Nel corso del periodo in argomento il numero dei Soci e simpatizzanti è aumentato di circa 50 unità (da160 a 211), senza considerare le perdite, con il conseguente aumento delle disponibilità finanziarie che hanno consentito, sino ad oggi,  di accantonare più di 4500€ a fondo scorta. I risultati positivi raggiunti in campo amministrativo sono da attribuire, inoltre, alla riduzione graduale e mirata delle spese per il funzionamento della sede e l’attuazione delle diverse attività. La regolarità e la gestione rigorosa dei conti, è stata certificata dal Collegio dei Sindaci, il quale ne ha dato atto nel corso delle Assemblee ordinarie annuali. Significativo è stato anche il servizio fornito agli Associati, mediante l’organizzazione dei corsi di informatica, l’assistenza fiscale, il rinnovo delle patenti di guida, la trattazione delle pratiche pensionistiche, ecc.. Va data, infine,  particolare menzione alla redazione del notiziario, in una veste editoriale nuova, con contenuti da molti apprezzati e alla costruzione e pubblicazione dei due siti  www.anupsa.it e www.anupsa.com , quali strumenti di consultazione ed approfondimento informativo, culturale e professionale.
In conclusione desidero porgere un vivo, sentito ringraziamento a tutti i componenti del Direttivo, al Consiglio dei Sindaci, al Rappresentante dei Soci Simpatizzanti, al Direttore ed alla redazione dell’ “Ufficiale a Verona” per la fattiva, continua, disinteressata collaborazione. Il mio  plauso va inoltre ai Soci che da qualche anno collaborano strettamente con il Direttivo, nello svolgimento di compiti essenziali per il buon funzionamento del sodalizio, con l’auspicio che essi possano entrare a far parte dello stesso, a pieno titolo, a seguito delle consultazioni in argomento. Porgo un saluto cordiale a tutti i Soci e agli amici simpatizzanti, assieme all’invito di esprimere serenamente il proprio voto, affinchè il Gruppo ANUPSA di Verona sia sempre più apprezzato  e stimato in ambito nazionale e nella nostra bella città,  per le attività di carattere morale e culturale che svolge, nel solco delle sue tradizioni, dei valori di dedizione ed amore alla patria e nel rispetto delle libere Istituzioni, con lo spirito del motto:  “Nec videar dum sim”, non per apparire ma per essere.