Qualche anno fa (2007) un sentenza della Cassazione ha stabilito che
parlare male della propria Azienda/Organizzazione può mettere a rischio il posto di lavoro, in
quanto la maldicenza può esprimere una "potenzialità negativa sul futuro
adempimento degli obblighi del lavoratore e fa vacillare il rapporto di fiducia
con il datore di lavoro”. L'Alta Istituzione ha accolto il ricorso di una
struttura ospedaliera, considerando che nel valutare la giusta causa per il
licenziamento “va tenuto presente che l'intensità della fiducia richiesta è
differenziata a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto,
della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di
affidamento che queste richiedono”.
Il fatto merita qualche commento. Quante volte anche nel nostro ambiente
militare e non, nonostante la calunnia
sia trattata nel codice penale, si è sentito parlare male di tizio o di caio,
dell’ANUPSA e i suoi componenti per qualche disguido, disposizione
ritenuta ingiusta o inaccettabile. Ci sono stati casi in cui, per effetto di
questo comportamento negativo da parte di qualche individuo il Comandante o il Capo si è trovato in
difficoltà nel salvaguardare l’onore e lo spirito della propria Organizzazione.
Sino a quella sentenza il subordinato era sempre stato salvaguardato, nonostante palesi
mancanze di rispetto verso l’Organismo in cui lavorava (come si dice, anche se
sputava sul piatto ove mangiava). Il provvedimento di licenziamento/espulsione
dovrebbe essere adottato anche negli ambienti delle Forze Armate o della Società civile per quelle persone che
giustificano le proprie inadempienze, gettando scredito o parlando male del
personale o dell’Organismo ove svolgono le proprie mansioni.