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lunedì 12 agosto 2013

La sindrome di Jago

L’invidia è un sentimento  negativo  che  colpisce  le  persone  subdole e  moralmente abbiette ,  in  quanto cercano di demolire l’altro seminando calunnie e falsità. 
Una volta, in un prato, una rana vide un bue e presa dall’invidia gonfiò la pelle rugosa: allora interrogò i suoi figli, chiedendo se fosse più grande del bue. Essi risposero di no. Di nuovo tese la pelle con sforzo più grande e chiese chi fosse più grande. I figli replicarono: il bue. Infine indignata mentre si volle gonfiare più fortemente, giacque con il corpo scoppiato.”(Fedro)
Dice Alberoni: “ L’invidia è il sentimento che noi proviamo quando qualcuno, che noi consideriamo di valore uguale al nostro ... ottiene l’ammirazione altrui. Allora abbiamo l’impressione di una profonda ingiustizia nel mondo. Cerchiamo di convincerci che non lo merita, facciamo di tutto per trascinarlo al nostro stesso livello, di svalutarlo; ne parliamo male, lo critichiamo … ci rodiamo di collera e, nello stesso tempo, siamo presi dal dubbio”.
L’invidia diviene patologica nel momento in cui i desideri della persona danno concretamente il via ad azioni che effettivamente comportano un danno per l’altro.
Tuttavia, anche a prescindere da casi in cui l’invidia è manifestamente patologica, è bene occuparsi di essa perché è un sentimento doloroso, dal quale è difficile liberarsi attraverso riflessioni logiche e razionali. L'invidia è penosa per chi la sperimenta, perché comporta il vivere in pieno sentimenti negativi, quali il rancore, l’ostilità e l’odio.
Shakespeare, attraverso la figura di Iago, ci rappresenta la massima espressione dell’invidia: egli insinua, in Otello, il tradimento di Desdemona con l’obiettivo preciso di distruggere la felicità altrui. Dante nel Purgatorio pone gli invidiosi seduti sulla sesta cornice, con gli occhi cuciti con il fil di ferro per l’aver gioito delle disgrazie altrui.

mercoledì 24 luglio 2013

La maldicenza è un venticello...

..che nelle orecchie della gente s’introduce destramente, e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar..(Barbiere di Siviglia).
Qualche anno fa (2007) un sentenza della Cassazione ha stabilito che parlare male della propria Azienda/Organizzazione può mettere a rischio il posto di lavoro, in quanto la maldicenza può esprimere una "potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi del lavoratore e fa vacillare il rapporto di fiducia con il datore di lavoro”. L'Alta Istituzione ha accolto il ricorso di una struttura ospedaliera, considerando che nel valutare la giusta causa per il licenziamento “va tenuto presente che l'intensità della fiducia richiesta è differenziata a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell'oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono”.
Il fatto merita qualche commento. Quante volte anche nel nostro ambiente militare e non,  nonostante la calunnia sia trattata nel codice penale, si è sentito parlare male di tizio o di caio, dell’ANUPSA e i suoi componenti per qualche disguido, disposizione ritenuta ingiusta o inaccettabile. Ci sono stati casi in cui, per effetto di questo comportamento negativo da parte di qualche individuo  il Comandante o il Capo si è trovato in difficoltà nel salvaguardare l’onore e lo spirito della propria Organizzazione. Sino a quella sentenza il subordinato era sempre stato salvaguardato, nonostante palesi mancanze di rispetto verso l’Organismo in cui lavorava (come si dice, anche se sputava sul piatto ove mangiava). Il provvedimento di licenziamento/espulsione dovrebbe essere adottato anche negli ambienti delle Forze Armate  o della Società civile per quelle persone che giustificano le proprie inadempienze, gettando scredito o parlando male del personale o dell’Organismo ove svolgono le proprie mansioni.


domenica 30 giugno 2013

Il contributo di solidarietà, cancellato dalla Consulta

È in nome del principio d'eguaglianza, che questi due balzelli  (prelievo del 5 e del 10% su assegni di pensione che superano rispettivamente i 90.000 e 150.000€)  sono stati annullati. La prima volta perché ne venivano colpiti i soli dipendenti pubblici e non anche i lavoratori autonomi o privati. La seconda volta perché a soffrirne erano i pensionati pubblici, lasciando indenni le altre categorie previdenziali. Da qui la discriminazione: insomma, una sorta d'accanimento dello Stato contro gli uomini (e le donne) dello Stato. Per di più doloso, dato che in origine il prelievo colpiva tutti, ma il Parlamento poi lo circoscrisse ai burocrati con una penna d'oca in mano. Nel giudizio della Consulta risuona perciò una massima che i rivoluzionari francesi scolpirono nella Déclaration del 1789: l'universalità della tassazione. Significa che in uno Stato di diritto il fisco non può distinguere tra figli e figliastri. Ma non significa che i ricchi debbano pagare quanto i poveri: ne è prova il tributo del 3% su tutti i redditi superiori a 300 mila euro, su cui il tribunale costituzionale non ha avuto niente da ridire. In altre parole, il principio d'eguaglianza s'applica agli eguali, non ai diseguali. E se lo Stato italiano avesse praticato l'equità fiscale, ci avrebbe pure guadagnato. Da qui un passaggio che si ripete pari pari in ambedue le sentenze incriminate: «Il risultato di bilancio avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica». (Corriere della sera del 30 giu. ’13).

martedì 28 maggio 2013

Illegalità in internet

Si chiama Silk Road, un nome che all'apparenza evoca storie virtuose di commercio, ma che - in realtà - di nobile e puro ha davvero poco. Tutt'altro: si tratta del lato più oscuro e profondo del web, quello meno esplorato e in grado di garantire anonimato ed impunità a chi consapevolmente vi si avventura.
Per spingersi nei nuovi meandri dell'illegalità è necessario scaricare gratuitamente un software denominato Tor, acronimo di The Onion Router o "rete a cipolla" (l'icona che appare sul computer appena completato il download del programma è proprio una piccola cipolla gialla) veicolo che assicura la navigazione anonima in internet schermando a terzi l'indirizzo IP associato al proprio computer.
Il progetto Tor è nato nel 1995 come progetto della Marina Militare degli Stati Uniti d'America con il fine di garantire che le conversazioni governative (ordini e disposizioni d'impiego) non venissero intercettate da entità nemiche o da servizi d'intelligence stranieri.
A partire dall'anno 2004 il progetto ha ricevuto finanziamenti da enti di tutela della libertà e dei diritti umani(1) con l'evidente obiettivo di garantire la possibilità ad attivisti, studenti o dissidenti impegnati nella lotta ai regimi di poter scambiare informazioni e comunicare non incappando nei controlli della polizia politica.
Ma come spesso accade la finalità virtuosa che accompagna simili innovazioni tecnologiche ha ceduto il passo ad un utilizzo illecito che pone, oggi, gli operatori del diritto di fronte al serio problema di predisporre efficaci strumenti di contrasto: il rischio è infatti quello di non riuscire ad identificare gli autori di condotte illecite perpetrate attraverso internet o, peggio ancora, versare nell'impossibilità di acquisire prove di tali fatti.
Negli ultimi anni Tor è divenuto, infatti, il primo indispensabile passaggio per entrare nel web illegale; si tratta di una vera è propria maschera che si richiede di indossare a chi voglia accedere, in maniera anonima, al dark web ed evitare così di essere riconosciuto dai propri interlocutori o rintracciato ed individuato da chi è impegnato nella lotta al cybercrime.
Non è un caso che Tor venga oggi richiesto obbligatoriamente per poter iniziare la procedura che conduce all'accesso al mercato anonimo di Silk Road, il grande bazar multimediale nel quale è possibile concludere transazioni che nel web propriamente detto non sarebbero consentite ed, anzi, comporterebbero l'avvio di iniziative penali nei confronti degli autori dell'accordo illecito.



Il bene comune

Se la vita delle persone si muove nel vuoto esistenziale, cosa potrà mai accomunarci, di là da interessate e occasionali convergenze? Allora ci vuole un impegno comune in vista del bene comune, che custodisce e armonizza il pubblico e il privato. Al contrario, assistiamo a uno scollamento tra pubblico e privato, a cui segue lo sdoppiamento dell'idea di bene comune: per un verso identificato con una somma aritmetica di beni materiali, meritevoli di tutela pubblica solo perché utilitaristicamente indispensabili alla vita di tutti (come i beni ambientali) o comunque ritenuti irrinunciabili dinanzi alla libera fruizione individuale (come i beni culturali e artistici); per altro verso, ridotto a una cornice vuota di condizioni e regolamentazioni che comportano tensione e competizione.
Il bene comune diventa, così, problematico: altro è raccontare una società originariamente pacifica e figlia della partecipazione, altro lo stile del sospetto, che mette in guardia contro una società figlia della guerra e del conflitto, in cui guadagnare convenienza e dove la giustizia è ridotta a difesa degli egoismi privati. E, così, la politica, già indebolita nell'elaborare progetti alti e unificanti, asseconda di volta in volta, ora il populismo di campagne moralizzatrici, ora un'apparente mentalità al di sopra delle parti. In realtà, il difficile bilanciamento fra l'autonomia della persona e il bene comune domanda una cultura della partecipazione, che motiva una forma di reciprocità aperta, dilatando la rete delle appartenenze, dall'ambito primario della famiglia a quello della società civile, fino a comprendere l'intera famiglia umana, aprendo le frontiere dell'inclusione, in una sana dialettica di amore e giustizia, che è credibile se non identifica sempre l'altro con l'estraneo o il nemico. La motivazione del bene comune non è il successo ma il bene, un bene che è tanto più autentico quanto più è condiviso, e che non consiste prima di tutto nell'avere o nel potere ma nell'essere.( Arcivescovo, Ordinario Militare, Vincenzo PELVI)

mercoledì 3 aprile 2013

L'eguaglianza

Di seguito una poesia di Trilussa sull'argomento, per opportuna riflessione:

Fissato ne l'idea de l'uguajanza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo 'sta distanza:
perché nun è né giusto né civile
ch'io stia fra la monnezza d'un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive ner medesimo livello.-

L'Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa' amicizzia? So' disposta:
ma nun pretenne che m'abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l'ale e viettene per aria:
se nun t'abbasta l'anima de fallo
io seguito a fa' l'Aquila e tu er Gallo.


mercoledì 6 febbraio 2013

CASTEL VECCHIO...un pò di storia


Maniero scaligero voluto da Cangrande II, fu costruito nel 1354-57 su preesistenti fortificazioni. Aveva funzione di residenza signorile, ma anche di presidio difensivo sia verso attacchi dalla città sia verso il ponte che consentiva il collegamento con la strada per il Tirolo. Presenta due nuclei, divisi da un tratto delle mura duecentesche e sette torri perimetrali; il nucleo di destra racchiude il cortile maggiore, con la piazza d’armi; il nucleo di sinistra (attuale circolo ufficiali) era la vera e propria reggia scaligera, con cortile più stretto e doppia cinta muraria. Al centro, l’alta Torre del Mastio (1375), da cui si accede al Ponte Scaligero sull’Adige. Dopo la caduta degli Scaligeri fu utilizzato come deposito d’armi dai veneziani e nel ‘700 ospitò l’Accademia Militare della Serenissima; in seguito, sotto il dominio francese e quello austriaco, venne utilizzato come caserma.
Nel 1923 fu avviato un radicale restauro che smantellò i caratteri militari del monumento, con l’inserimento di elementi architettonici tardogotici e rinascimentali di reimpiego e il ripristino delle merlature e delle coperture delle torri (eliminate in epoca napoleonica). Nel 1928 diventò sede del Museo di Castelvecchio.
Nel 1943 ospitò l’assemblea che diede vita alla Repubblica di Salò e vi fu celebrato il processo che condannò a morte i gerarchi fascisti che avevano deposto Mussolini (fra cui il genero di questi, Galeazzo Ciano). Danneggiato dai bombardamenti, rimase vuoto per una decina d’anni. Nel 1957 l’arch. Carlo Scarpa e il direttore del Museo, Licisco Magagnato, avviarono una radicale opera di ristrutturazione e riallestimento museale; i lavori, terminati nel 1964, riportarono alla luce l’antica Porta del Morbio che si apriva nella cinta muraria del XII sec.