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domenica 30 giugno 2013

Il contributo di solidarietà, cancellato dalla Consulta

È in nome del principio d'eguaglianza, che questi due balzelli  (prelievo del 5 e del 10% su assegni di pensione che superano rispettivamente i 90.000 e 150.000€)  sono stati annullati. La prima volta perché ne venivano colpiti i soli dipendenti pubblici e non anche i lavoratori autonomi o privati. La seconda volta perché a soffrirne erano i pensionati pubblici, lasciando indenni le altre categorie previdenziali. Da qui la discriminazione: insomma, una sorta d'accanimento dello Stato contro gli uomini (e le donne) dello Stato. Per di più doloso, dato che in origine il prelievo colpiva tutti, ma il Parlamento poi lo circoscrisse ai burocrati con una penna d'oca in mano. Nel giudizio della Consulta risuona perciò una massima che i rivoluzionari francesi scolpirono nella Déclaration del 1789: l'universalità della tassazione. Significa che in uno Stato di diritto il fisco non può distinguere tra figli e figliastri. Ma non significa che i ricchi debbano pagare quanto i poveri: ne è prova il tributo del 3% su tutti i redditi superiori a 300 mila euro, su cui il tribunale costituzionale non ha avuto niente da ridire. In altre parole, il principio d'eguaglianza s'applica agli eguali, non ai diseguali. E se lo Stato italiano avesse praticato l'equità fiscale, ci avrebbe pure guadagnato. Da qui un passaggio che si ripete pari pari in ambedue le sentenze incriminate: «Il risultato di bilancio avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di eguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica». (Corriere della sera del 30 giu. ’13).

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