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martedì 28 maggio 2013

Illegalità in internet

Si chiama Silk Road, un nome che all'apparenza evoca storie virtuose di commercio, ma che - in realtà - di nobile e puro ha davvero poco. Tutt'altro: si tratta del lato più oscuro e profondo del web, quello meno esplorato e in grado di garantire anonimato ed impunità a chi consapevolmente vi si avventura.
Per spingersi nei nuovi meandri dell'illegalità è necessario scaricare gratuitamente un software denominato Tor, acronimo di The Onion Router o "rete a cipolla" (l'icona che appare sul computer appena completato il download del programma è proprio una piccola cipolla gialla) veicolo che assicura la navigazione anonima in internet schermando a terzi l'indirizzo IP associato al proprio computer.
Il progetto Tor è nato nel 1995 come progetto della Marina Militare degli Stati Uniti d'America con il fine di garantire che le conversazioni governative (ordini e disposizioni d'impiego) non venissero intercettate da entità nemiche o da servizi d'intelligence stranieri.
A partire dall'anno 2004 il progetto ha ricevuto finanziamenti da enti di tutela della libertà e dei diritti umani(1) con l'evidente obiettivo di garantire la possibilità ad attivisti, studenti o dissidenti impegnati nella lotta ai regimi di poter scambiare informazioni e comunicare non incappando nei controlli della polizia politica.
Ma come spesso accade la finalità virtuosa che accompagna simili innovazioni tecnologiche ha ceduto il passo ad un utilizzo illecito che pone, oggi, gli operatori del diritto di fronte al serio problema di predisporre efficaci strumenti di contrasto: il rischio è infatti quello di non riuscire ad identificare gli autori di condotte illecite perpetrate attraverso internet o, peggio ancora, versare nell'impossibilità di acquisire prove di tali fatti.
Negli ultimi anni Tor è divenuto, infatti, il primo indispensabile passaggio per entrare nel web illegale; si tratta di una vera è propria maschera che si richiede di indossare a chi voglia accedere, in maniera anonima, al dark web ed evitare così di essere riconosciuto dai propri interlocutori o rintracciato ed individuato da chi è impegnato nella lotta al cybercrime.
Non è un caso che Tor venga oggi richiesto obbligatoriamente per poter iniziare la procedura che conduce all'accesso al mercato anonimo di Silk Road, il grande bazar multimediale nel quale è possibile concludere transazioni che nel web propriamente detto non sarebbero consentite ed, anzi, comporterebbero l'avvio di iniziative penali nei confronti degli autori dell'accordo illecito.



Il bene comune

Se la vita delle persone si muove nel vuoto esistenziale, cosa potrà mai accomunarci, di là da interessate e occasionali convergenze? Allora ci vuole un impegno comune in vista del bene comune, che custodisce e armonizza il pubblico e il privato. Al contrario, assistiamo a uno scollamento tra pubblico e privato, a cui segue lo sdoppiamento dell'idea di bene comune: per un verso identificato con una somma aritmetica di beni materiali, meritevoli di tutela pubblica solo perché utilitaristicamente indispensabili alla vita di tutti (come i beni ambientali) o comunque ritenuti irrinunciabili dinanzi alla libera fruizione individuale (come i beni culturali e artistici); per altro verso, ridotto a una cornice vuota di condizioni e regolamentazioni che comportano tensione e competizione.
Il bene comune diventa, così, problematico: altro è raccontare una società originariamente pacifica e figlia della partecipazione, altro lo stile del sospetto, che mette in guardia contro una società figlia della guerra e del conflitto, in cui guadagnare convenienza e dove la giustizia è ridotta a difesa degli egoismi privati. E, così, la politica, già indebolita nell'elaborare progetti alti e unificanti, asseconda di volta in volta, ora il populismo di campagne moralizzatrici, ora un'apparente mentalità al di sopra delle parti. In realtà, il difficile bilanciamento fra l'autonomia della persona e il bene comune domanda una cultura della partecipazione, che motiva una forma di reciprocità aperta, dilatando la rete delle appartenenze, dall'ambito primario della famiglia a quello della società civile, fino a comprendere l'intera famiglia umana, aprendo le frontiere dell'inclusione, in una sana dialettica di amore e giustizia, che è credibile se non identifica sempre l'altro con l'estraneo o il nemico. La motivazione del bene comune non è il successo ma il bene, un bene che è tanto più autentico quanto più è condiviso, e che non consiste prima di tutto nell'avere o nel potere ma nell'essere.( Arcivescovo, Ordinario Militare, Vincenzo PELVI)